Perché Ruzante
Angelo Beolco,
meglio noto con il nome di Ruzante, è certamente il massimo scrittore
veneto del Rinascimento e forse di tutta la letteratura della nostra
regione. La sua attenzione è sempre rivolta alle vicende e alla vita dei
contadini e del popolo, il che lo porta a essere spesso in polemica con
la cultura presunta "alta" del suo tempo, che peraltro conosce benissimo
e impiega per quello che è.
Il mondo di Ruzante è per scelta abbastanza ristretto: va dai Colli Euganei a Venezia attraverso Padova, da Chioggia alla Riviera attraverso la Saccisica. Il Naviglio dunque fa parte appieno di questo mondo, pur segnandone in qualche modo il confine. Sul piano linguistico, si può notare che qui si vedono conflitti fra la parlata veneziana e l'idioma pavano: lo scrittore ne è particolarmente cosciente, e ne fa oggetto della sua arte. Caratteristico in Ruzante è l'uso, per la quasi totalità dell'opera, del dialetto: idioma naturale, contrapposto al "fiorentinesco", artificiosa costruzione dei letterati. Questa scelta lo fa essere uno dei padri culturali dell'identità veneta, fatta (anche) di faticoso lavoro, di sottomissione alle ragioni di ricchi e potenti, di sofferenza contrapposta all'opulenza di pochi dominatori veneziani. Un mondo non pacificato dunque, che chiede di "fare qualcosa". Di tiranti, Ruzante parla in almeno due luoghi della sua opera: una pagina del Bilora, in cui il protagonista dichiara appunto di aver fatto il tirante, e una scena della Betia, che presenta questo lavoro come particolarmente pesante, tanto che viene comminato come sanzione, in questo caso a donne di facili costumi. Proprio questi riferimenti, che sono fra i più antichi per l'arte del tirante, ci hanno convinto a intitolare il Palio a questo grande veneto.
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Antico ritratto del Ruzante