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Pleniluni e quarti di luna

 

Dame e cavalieri

Radici medievali della sensibilità moderna

ottobre 1997- aprile 1998

 

7 L’antichità

7.1 Saffo

7.2 Platone

7.3 Catullo

7.4 Ovidio

7.4.1 Ars amandi

7.4.2 Amores

7.4.3 Heroides

7.5 Plutarco

 

È una tradizione far datare la tradizione occidentale dell’amore e della sua espressione lirica da Saffo (ciò non significa che non ci siano documenti anteriori: nei poemi omerici, o nelle scritture sacre delle diverse religioni, prima di tutte la Bibbia, ad esempio).

 

7.1 Saffo

La poetessa di Lesbo ha lasciato come è noto un’opera frammentaria il che ha permesso di interpretare le sue parole in modi diversi, spesso contraddittori. Appare comunque abbastanza difficile rinvenire in quei versi un elemento che sembra essenziale per l’amore, come l’abbiamo trovato in Boccaccio e come dura ancora ai nostri giorni: se è stato dichiarato un po’ da tutti che amore è innanzitutto desiderio, per Saffo esso è nostalgia (desiderio si dice di una cosa che non ho mai avuto, nostalgia di una cosa che ho avuto e ora mi manca). Per esempio:

Dicono che sopra la terra nera

la cosa più bella sia una fila di cavalieri,

o di opliti, o di navi.

Io dico invece: quello che s’ama.

Chiunque può capirlo facilmente:

colei che superava di molto  

tutti i mortali per bellezza, Elena,

abbandonò lo sposo

- il più eccellente degli uomini –

e fuggi a Troia per mare.

Dimenticò la figlia, dimenticò

i cari genitori.

Fu Afrodite a sviarla.

 

Così ora mi torna alla mente

Anattoria lontana.

Oh, preferirei rivedere

il suo amabile passo,

il candore splendente del viso,

piuttosto che i carri dei Lidi

e battaglie di uomini in armi.

 

 

 

Ti amai un tempo, Attis

.....

mi parevi una bambina piccola e sgraziata.

 

 

Vorrei davvero essere morta.

Lei mi lasciava piangendo

e molte cose mi disse e poi questo:

«Ah, che sofferenza terribile,

Saffo, io contro mia voglia ti lascio!»

E io ti risposi:

«Addio, e serba memoria di me,

tu sai quanto ti amavo.

E se non sai, io voglio

che tu rammenti...

le belle cose che facemmo insieme:

molte ghirlande di viole

e di rose e di croco

ti ponevi sul capo al mio fianco

e molte corone intrecciate di fiori

cingevi intorno al tenero collo

e ti ungevi d’unguento odoroso

e di profumo regale,

sopra un soffice letto

il desiderio...»

 

Il tema della nostalgia nella nostra poetessa non riguarda solo l’amore, ma si estende a tanti altri ambiti della vita, forse a tutti. In questo le fu buon discepolo Giacomo Leopardi, poeta della nostalgia, soprattutto per la giovinezza, che non è propriamente un poeta dell’amore (per quando non gli sia estraneo il tema del desiderio).

«Verginità, verginità mi lasci, e dove vai?»

«Non più tornerò da te, non più tornerò.»

 

È tramontata la luna insieme alle Pleiadi:

la notte è al suo mezzo

il tempo passa, e io dormo sola.

Si potrebbero portare altri esempi; nella stragrande maggioranza dei suoi versi, Saffo rimpiange.

 

7.2 Platone

Né molto più lontano ci porta l’analisi dell’altro grande testo che dell’amore si occupa nell’antichità classica (ovvero, lontano ci porterebbe, ma in tutt’altra direzione): il Convito di Platone. Il passo in cui appare più chiaramente la posizione del filosofo ateniese è quello in cui Socrate riferisce di un suo dialogo con Diotima, una donna di Mantinea, la quale espone una concezione in cui il tema dell’amore è strettamente intrecciato a quello della bellezza e della sua produzione.

XXVIII

Ecco dunque il mistero d’Amore, Socrate, mistero dei quale anche tu potresti tentare di toccare la soglia. Quanto ai gradi ulteriori, la rivelazione e la contemplazione dei misteri, cui i primi conducono quando si procede per giusta via, non so dire se tu sia in grado di accedervi. E tuttavia voglio parlartene con tutta la mia disponibilità e la mia premura. Tu cerca di seguirmi, se ne sei capace.

Colui che intende accingersi a questo percorso, e lo fa con retta disposizione, deve cominciare, fin da giovane, a frequentare la bellezza corporea. Come pri­mo passo, se corretta è l’azione della guida, amerà un’unica persona nella bellezza del suo corpo, e già qui si vedrà in grado di generare i primi ragionamenti e discorsi belli. In un secondo tempo scoprirà che la bellezza di qualsiasi singolo corpo non è diversa da quella di tutti gli altri corpi, e, dal momento che la mèta è bellezza nella sua forma universale non sarà così sprovveduto da non vedere che la bellezza propria di tutti i singoli corpi non è che una e la medesima. Diverrà allora amante di tutti i corpi belli e lascerà cadere quell’attaccamento ad uno solo: gli sembrerà privo di valore, e lo disprezzerà. In seguito coglierà la bellezza che risiede nelle anime, e questa gli parrà ben più preziosa di quella corporea. Allora potrà anche incontrare persona non bella, ma di anima degna; ciò gli basterà, e l’amerà e ne avrà cura: ne nasceranno discorsi e ragionamenti sommamente educativi, capaci di rendere migliori i giovani. Qui sarà a sua volta costretto a cogliere la bellezza delle istituzioni e delle leggi, fino a comprendere che essa è tutta congenere a se stessa, e fino a giudicare misera la sola bellezza di un corpo. Dopo le istituzioni bisognerà condurlo fino alle scienze, affinché colga la bellezza del sapere e, aperti gli occhi su tanta distesa, non più attaccato come un servo alla bellezza di un giovinetto, o di un uomo, o di una sola istituzione, non più schiavo di animo vile e di parola meschina, ma volta decisamente la prora all’immenso pelago della bellezza, possa generare molti discorsi. belli e profondi, ragionamenti nati da sovrabbondanza d’amore per il sapere finché, fortificato ormai e cresciuto, riesca ad avere visione di un’unica scienza, la scienza di questa bellezza di cui stiamo parlando.

 

XXIX

“E continuava Diotima:

- Ora cerca di seguirmi con tutta l’attenzione di cui sei capace. Colui che nel mistero d’Amore è stato portato fino a questo punto, ed ha potuto scorgere di grado in grado e per corretto metodo le diverse cose belle, giunto al limite supremo di questa scienza d’Amore, ecco, costui vedrà, improvvisamente, una certa bellezza, meravigliosa, proprio quella, Socrate, che era stata la mèta di tanti suoi precedenti sforzi: una Bellezza che innanzitutto sempre è; non nasce, non muore; non si accresce, non diminuisce; inoltre non è bella in un senso, brutta in un altro; né ora sì ora no; né bella sotto tale aspetto, brutta sotto tal altro; non qui bella là brutta, così da sembrare bella ad alcuni, brutta ad altri; né gli apparirà questa Bellezza come quella di un volto, o di mani, o di alcuna altra cosa che appartenga ad un corpo; né come ragionamento, né come scienza alcuna; né come esistente in altro da sé, cioè in un essere vivente, o nella terra o nel cielo o in qualsiasi altra cosa, ma la vedrà come qualcosa che è eternamente se stessa, per sé con sé omogenea e semplice, mentre tutte le altre cose di lei partecipano in qualche modo, ma in modo tale che, nascendo e morendo quelle, nulla essa guadagni, nulla perda, nulla subisca. Orbene, quando uno, da queste bellezze sensibili, colte attraverso retto amor di giovinetti, si distacca, e, levandosi in progressiva ascesa, comincia a scorgere quella Bellezza ideale, allora egli non è lontano dal termine supremo. E proprio in questo consiste il giusto itinerario d’Amore, il percorso da intraprendere con o senza guida: iniziare da queste singole bellezze sensibili e, avendo di mira la Bellezza eterna, sempre salire come lungo i gradini di una scala, dalla bellezza di un solo corpo, a due, a tutti, e poi dai corpi belli, alle belle istituzioni, e dalle belle istituzioni alla bellezza delle conoscenze scientifiche, finché dalle varie scienze si sbocchi a quell’unica che è scienza di null’altro che del Bello in sé, e sia dato infine conoscere la Bellezza suprema, ponendone l’essere nella sua forma universale. È questo, caro Socrate (diceva la straniera di Mantinea), il momento più importante nella vita di un uomo, e il più degno di essere vissuto: il momento in cui ci è data la contemplazione del Bello in sé. Se un giorno arrivassi a contemplarla, quanto ti parrebbe lontana da ricchezze, lusso, amore di fanciulli e di giovinetti, che ora ti turbano al punto che non esiteresti, tu e molti altri, a tralasciare e di mangiare e di bere, se mai fosse possibile, pur di aver sotto gli occhi l’amato e di stare sempre insieme con lui. E che cosa dobbiamo credere che proverebbe un uomo cui fosse dato di vedere il Bello in sé, nella sua genuina purezza e semplicità, libero da peso di carne e di colori umani, o da tanta altra zavorra mortale? un uomo cui fosse dato di vedere quella divina Bellezza in se stessa, nella sua assoluta unicità? Credi forse che sia vita banale quella di un uomo che là ha fisso lo sguardo e con l’attività della sua mente coglie quella bellezza e con essa convive? Non ti rendi conto che soltanto a questo livello nel vedere Bellezza per mezzo di quell’organo che la rende visibile, gli accadrà di generare non più fantasmi di virtù, ché fanta­sma non è ciò che è riuscito a scorgere, ma virtù vera, poiché è verità ciò che è riuscito a toccare? Ed ora che ha generato virtù vera e l’ha coltivata, non sarà caro agli dèi? E, se mai si concede a mortale, non sarà immortale anche lui?

 

“Ecco, mio buon Fedro, e voi altri amici, ciò che mi disse Diotima e di cui io sono rimasto del tutto persuaso. Persuaso a tal punto che cerco di persuadere anche gli altri, per lo meno di questo, che per far dono alla natura umana di un bene così grande, non si potrebbe trovare aiuto più efficace di quello d’Amore. Per questo affermo che ogni uomo deve onorare Amore, e onoro io stesso questa sua amorosa scienza che pratico con grande zelo, e agli altri. raccomando di fare lo stesso. Ecco, io levo la mia lode ad Amore potente e valoroso, ora e sempre, per quanto ne sono capace. Caro Fedro, se vuoi, puoi classificare il mio discorso tra gli encomi di Amore; ma se ciò non e possibile, chiamalo un po’ come ti pare”.

 

La strada proposta da Platone è piuttosto complessa, e si riferisce solo per un breve tratto al tema dell’amore a noi consueto. Questo è, con qualche approssimazione, il desiderio o la passione, che gli uomini concepiscono per una bellezza che non hanno. Platone prende questa constatazione come semplice punto di partenza, che poi viene sviluppato per strade impreviste, in direzione ascetica e, in parte, iniziatica. Le tappe indicate sono le seguenti:

1. l’amante desidera la bellezza di un corpo bello, fuori di sé; ciò allo scopo di riprodursi nel corpo (generazione) o nello spirito (poesia); questa fase compendia la nozione corrente di amore;

2. quando l’amante comprende cosa sia la bellezza dei corpi, l’amore per un solo essere viene trasceso nell’amore per la bellezza come concetto universale, che può essere rinvenuta in corpi diversi. Qui siamo già fuori della concezione vulgata dell’amore, poiché l’amante non farà più differenza fra corpo bello e corpo bello: conta più il genere che l’individuo;

3. l’amante comprende che amare la bellezza è amare qualcosa di spirituale, dunque di superiore; a questo punto è pronto per passare dall’amore per i corpi all’amore per le anime; quando l’amante è in questa disposizione, egli punterà alla riproduzione dell’anima, cioè alla sua educazione, e perciò si dedicherà ai “discorsi educativi”;

4. l’educazione è legata allo stato, lo fonda in qualche modo, per cui l’amante passerà all’amore per un oggetto collettivo e astratto: le istituzioni e le leggi dello stato;

5. di qui si passa allo stadio ultimo: l’amore prende per oggetto la scienza e il sapere in quanto tale, e insieme si configura come scienza della bellezza. Ci si domanderà che fine faccia a questo punto il desiderio per la bellezza terrena dei corpi. Par di capire, anche se non è interpretazione condivisa da tutti, che esso sopravviva, come aspetto particolare e trasceso anche nel compimento dell’itinerario ascetico.

La strada proposta da Platone è stata variamente ripresa; è noto che proprio di qui partono i padri della Chiesa, e in particolare sant’Agostino, per costruire alcuni concetti teologici, soprattutto la definizione della carità (dal punto di vista dell’uomo) come amore intellettuale di Dio. Tale operazione è possibile nel momento in cui si identifica la bellezza in quanto idea (anzi, quell’idea in cui si unificano le altre idee) con la figura divina. Con concetti di questo tipo i trattatisti d’amore hanno giocato molto, ma si tratta di una “fuga in avanti”; in ogni caso, questo amore è una costruzione intellettuale che non trova riscontri pratici.

 

7.3 Catullo

Un po’ come Saffo nella cultura greca, Catullo inaugura la grande poesia erotica latina. La sua esperienza letteraria continuerà a influenzare per secoli il genere, e lo determina in parte ancora. Converrà dunque soffermarsi sui Carmina.

V. Vivemus, mea Lesbia, atque amemus, perché abbiamo una vita sola e dobbiamo goderla. E dammi mille baci e cento e mille e cento ancora e mille ed altri ancora; ne avremo fatti migliaia, e taccia allora ogni incanto, perché li mischieremo e non sapremo il numero. Basterebbe questo passo per comprendere la posizione di Catullo: l’amore non è una disposizione dell’anima, piuttosto è un’attività, che ha bensì un significato morale (per esorcizzare in qualche modo il trascorrere del tempo) ma ha un contenuto concretissimo: il poeta non concepisce un amore che non comprenda i «baci», anzi, che non sia un vero e proprio delirio di baci.

VII. Ribadisce il discorso di V: non esiste limite quantitativo all’amore, oltre al quale esso cessi di essere buono. Si noti che l’amore è sempre esemplificato nei «baci», cioè nelle sue manifestazioni materiali.

VIII. È un passo assai caratteristico, da cui emerge che il desiderio, di per sé non è un valore. È finito l’amore, l’amata se n’è andata, peccato, perché quello che poteva dare era dolce. Pazienza. È una felicità perduto, ma Catullo non si piegherà a cercare di rincorrerla di nuovo. Si deve immaginare che egli preferisca cercare da qualche altra parte. Ancora una volta, dunque, viene posto l’accento su quello che potremo chiamare «l’amore in atto».

XV. Gelosia: gli amici devono evitare di insidiare gli amati. Va notato che qui non è la solita Lesbia, ma un giovinetto: gli oggetti d’amore per Catullo evidentemente sono fungibili, si può tranquillamente passare dall’uno all’altro, quel che conta è «amare».

XXXII. Variante: il poeta si propone una notte d’amore con una certa Ipsililla; colpisce che non vi sia nessun elemento dì sentimentalismo.

LXXXV.   Odi et amo, quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

Io odio ed amo; forse chiederai

come questo può essere. Non so,

ma sento ch’è così; sento e ne soffro.

È forse il più caratteristico, e il più noto, testo di Catullo sulla nostra materia. L’elemento centrale, quello che lo differenzia dal modo medievale e post medievale, è proprio nella compresenza di odio e amore.

Si potrebbero fare delle ipotesi sui motivi di questa compresenza: una prima approssimazione potrebbe essere che l”’odio” deriva dal fatto che il poeta è stato abbandonato dalla sua amata; questo si iscriverebbe nella concezione che abbiamo già cercato di delineare: l’amore consiste nella realizzazione del desiderio, per cui se qualcuno ama e non è ricambiato contemporaneamente odia colei che non soddisfa il suo amore; ma si potrebbe avanzare anche una tesi diversa: che odio e amore siano così strettamente connaturati che non si possano districare mai, che si ami perché si odia e si odi perché si ama. Se questa posizione fosse attendibile, saremmo ancora più lontani dalla tesi che il desiderio è bene in sé.

XCII. Sviluppa il medesimo tema del precedente, con una variante per così dire “sociale”: l’ambiguità nel rapporto fra il poeta e l’amata si riflette nelle reciproche relazioni col mondo:

Lesbia mi dicit sempre male nec tacet umquam

    De me: Lesbia me dispeream nisi amat.

Quo signo? qula sunt totidem mea: deprecor illam

    Adsidue, verim dispeream nisi amo.

 

Lesbia dice male di me, non smette

di parlare male di me; giuro che m’ama.

Mi domandate come? Ma lo stesso

succede a me: ne dico male anch’io,

ma ch’io possa morire se non l’amo.

CVII. Il desiderio porta, se non soddisfatto, alla disperazione, alla gioia se viene soddisfatto. La vita più bella è quella dell’amante felice appunto perché il suo desiderio si è fatto realtà.

CX. L’amore è qualcosa di simile a un contratto: l’amante paga per avere una soddisfazione dall’amata; paga in doni, in impegno, in tensione, ecc. Se una accetta la corte, deve dare seguito alla faccenda; altrimenti, ragiona Catullo, la rifiuti e amici come prima. (Il motivo avrà fortuna: nella seconda metà del Cinquecento si ritroverà, ad esempio, nell’Aminta del Tasso).  

L’itinerario dell’amore catulliano è piuttosto composito: ai nostri fini, noteremo che riguarda una pluralità di oggetti amati e che da essi il poeta si aspetta una soddisfazione dovuta al suo impegno, che si traduce anche in spesa, ecc. La figura di Lesbia è indissolubilmente legata all’idea di un sentimento ambiguo, bifronte, in cui il desiderio si unisce inevitabilmente al disprezzo; a ben vedere, analogo discorso si può fare per l’Aufilena del carme CX. Si consideri 1’ordine sociale di Roma antica, in cui esisteva la schiavitù: lo schiavo era colui che doveva sottoporsi ai desideri del padrone, e proprio per questo era disprezzato. L’oggetto amato appartiene al medesimo genere: lo si desidera, e il fatto che sia desiderato lo mette in condizione di ottemperare al desiderio, ma questo lo mette in balia dell’amante, simile in questo allo schiavo.

 

7.4 Ovidio

Non sappiamo se durante la sua vita o negli anni successivi Ovidio sia stato ritenuto quel maestro d’amore che si vanta di essere nella sua Ars amandi: forse fu solo un grande e sensibile poeta, al quale toccò In sorte di fare il cantore alla moda, il cronista rosa del suo tempo. Venne preso molto sul serio più tardi, nel Medioevo, quando tutti impararono da lui, o almeno lo lessero come maestro d’erotica. (Il poeta di Sulmona è il grande rimosso del Medioevo: Dante piglia per maestro e duca Virgilio, gli studiosi discettano di Virgilio nel Medioevo; ma se andiamo a vedere i testi, scopriamo che nella Commedia gli imprestiti ovidiani sono infiniti, e che infiniti sono gli imitatori di Ovidio. Sarebbe ora di rimettere a posto le cose.)

Prima di esaminare i testi ovidiani relativi alla questione (oltre all’Ars amandi citata, almeno gli Amores e le Heroides), c’è un problema preliminare da porre: cosa hanno capito gli uomini del Medioevo leggendo il nostro poeta? quello che egli ha detto o qualcos’altro? Ci sono fondati motivi per ritenere che la lettura che ne è stata data allora non sia troppo pertinente. Conviene perciò esaminare i testi per tentare di ricostruire il pensiero di. Ovidio.

 

7.4.1 Ars amandi

Il tono del libro è disincantato e libertino; il suo oggetto materialistico: amare significa cercare la «Venerem tuta» e i «concessa furta» (1,33-34); la scelta dell’oggetto amato deve essere improntata certo ai gusti, ma nella convinzione che, in fondo, le donne sono tutte uguali (1,61-66). La fedeltà non è un imperativo morale, piuttosto un problema di convenienza: cosa ne potrà venire? (1,375 seg.). Perché si deve sapere che l’amore è cosa naturale, e che perciò è giusto amare, mentre astenersene è follia (11,369 segg). A voler essere per bene, non bisogna far problema di gelosia: se a lei piacete tu e un altro suo amico, via, siamo uomini di mondo (1,577 segg. e 11,521 segg.). A meno che la gelosia non, sia uno strumento utile a convincerla: a volte ci sono donne così (II, 435 segg.)

C’è un certo principio da seguire: non bisogna raccontare le proprie cose a destra e a manca (II, 389 segg.) Soprattutto, tenere nascoste alle donne che si amano le altre avventure: questo è essenziale. L’uomo, si sa, è cacciatore, quindi deve andare a caccia (1,90), non certo perdersi in chissà che smancerie sentimentali: è stato Romolo a insegnarlo ai Romani, che fecero proprio a questo modo, con la storia delle Sabine (1,114 segg.).

L’amore è una questione di tecnica, bisogna saperci fare; Ovidio vuol insegnare proprio questo (I, 269-70). Prima di tutto, mettere a frutto le proprie qualità: bellezza, doti intellettuali, abilità... (II,503 segg.). Certo, molto possono la liberalità, la ricchezza, i doni (II, 275 segg.); bisogna però imparare che ci si deve mettere subito in posizione dominante («Questa è impresa e arte /  i favor primi senza doni ottenere»); si può cominciare con una lettera... (I,453 segg.). Certo, ci vuole arte e tempo, pazienza:

Se non accetta il tuo messaggio, e senza

leggere lo respinge, e tu confida

che leggerà, tu nel tuo gioco insisti.

Col tempo si sommettono i restii

giovenchi al giogo; avvezzansi col tempo

i puledri a patire il duro morso;

si consuma col lungo uso un anello

di ferro, e pur si logora il ricurvo

vòmere nel dirompere le zolle.

Che più duro è del sasso, e che più molle

dell’acqua? Ma pure dalla molle

acqua forati sono i duri sassi.

Tu la stessa Penelope, se insisti,

col tempo vincerai. Tardi fu presa

Pèrgamo, si, ma pur fu presa alfine.

Avrà letto, e rispondere non vuole?

Non forzarla, ma fa’ che sino in fondo

le tènere tue frasi ella ben legga.

A quel che leggerà, dopo aver letto,

rispondere vorrà: codeste cose

a poco a poco, e a tempo lor, verranno. (I, 466-480)

 

Non sarà sfuggito il tono generale e le similitudini, guerresche e violente, usate per dire la seduzione in questo passo. Vi ritorneremo. Certo è che amore e guerra si somigliano; la differenza principale è che le donne amano essere prese con la forza (I, 671 segg.), dunque pazienza e decisione! perché non è bello che la donna si dia per costrizione fisica, evidente; bisogna che essa si con­vinca (II, 685 segg.).

Non è facile trattenere Amore, perché la sua natura è fuggevole (II,96 segg.); ciò comporta una certa dose, se non di violenza, certo di decisione (II,16 segg.); è l’amore che costringe la donna amata alla fedeltà! (153 segg.). L’im­portante è fare in modo che la donna si abitui all’amante, tutto lì: perché l’abitudine fa tutto (II,345 segg.).

Quello che conta è il risultato: non importa che si metta in atto un qualche imbroglio, che si raccontino fandonie: si tratta dì un gioco in cui molto è permesso (I,220 segg.). Le donne giocano pesante e scorretto allo stesso modo, per esempio si fingono giovani e belle quando invece è tutto lavoro di parrucchiera ed estetista: attenzione alla luce artificiale (1,249 segg.). In questi casi devi far finta di niente, anche se l’amata ha dei difetti evidenti (11,641 segg.). La simulazione è assolutamente necessaria:

Ma tu, chiunque sii, che conservarti

l’amica vuoi, fa’ sì ch’ella ti creda

estasiato della sua bellezza.

Se è vestita di porpora, tu loda

i tirii drappi; se ha una veste còa,

di’ che bene le stan le vesti còe.

Ella è tutt’oro? A te più preziosa

sia pur dell’oro. Grossi panni ha indosso?

Tu i grossi panni che si è messi approva.

Ti verrà innanzi in tunica? «Tu incendii

susciti!» grida; poi sommessamente

pregala che dal freddo ella si guardi.

Le chiome ha con lo scrimolo? e tu loda

lo scrimolo; arricciate a ferro caldo

sono? Mi piaci, riccioluta chioma!

Le sue braccia, se danza, e la sua voce

se canta, ammira; ed abbi poi parole

di rammarico quando avrà finito.

E anche gli amplessi esalta di lei, esalta

ciò che a te dà piacere, e le segrete

voluttà che tu seco hai delle notti.

Anche se più irritabile ella fosse

della torva Medusa, e mite e dolce

diventerà per quei che tanto l’ama.

Bada però che in quelle tue parole

tu non debba apparir simulatore;

non smentire col volto i detti tuoi.

Utile è l’arte se si cela; è causa

di vergogna se scòpresi e a buon dritto

poi distrugge per sempre ogni fiducia.

(II,295-314) 

In ogni caso, ci si deve rendere conto che all’amore giocano anche le donne come gli uomini (è il soggetto dell’intero libro terzo) e più degli uomini (I,339-40).

Si dice che amare sia porsi al servizio di qualcuno, sottomettersi all’amato: come no, è un bel rito, basta che serva per arrivare allo scopo, e in realtà i servizi d’amore che Ovidio propone sono alquanto maliziosi, tipo togliere la polvere dal seno dell’amata, sollevarle la veste (perché non si impolveri, cose così) (I, 149 segg.). Non c’è differenza fra amore vero e amore falso, è lo stesso gioco (I, 615 segg.)

Così i due primi libri, in cui il poeta spiega agli uomini come debbano fare a conquistare le donne; nel terzo libro, illustra la questione dal punto di vista femminile: la stessa cosa, rovesciata e speculare.

 

7.4.2 Amores

I tre libri degli Amores sono una raccolta di elegie, forma prediletta dal nostro poeta, in cui vengono variamente illustrate situazioni ed emozioni. della vita amorosa. Si possono leggere parallelamente all’Ars amandi, che precedono per data di composizioni (furono l’opera d’esordio, a vent’anni), e che ne rappresenta la sistematizzazione per così dire teorica.

I temi erotici vengono affrontati in stile da cronaca mondana, mostrando una serie di momenti topici. Per il nostro discorso, sono interessanti soprattutto i seguenti:

I,9: viene sviluppato il tema dell’analogia fra l’amore e la vita militare;

II,2: esamina la dialettica amore-servo: a guardia della sua amante è messo un eunuco, uno schiavo; egli si trova ad averla in qualche misura schiava. Ciò non è bene, meglio se la condurrà a compiacere il poeta;

II,4: non esiste il grande amore per una donna: Ovidio ritiene che molte possano essere amabili, ognuna per qualche sua caratteristica;

II,8: Ovidio aveva diviso l’amore di Corinna con quello di Cipassi, la schiava pettinatrice di lei; Corinna è venuta a saperlo; ma che male ho fatto, protesta il poeta, in fondo c’è stato fior di antichi eroi che hanno amato delle ancelle!

II,10: Si può tranquillamente amare due donne allo stesso tempo. Perché uno dovrebbe astenersene, se ha forze bastanti?

Tu, ben ricordo, proprio tu, Grecino,

dicevi a me che in uno stesso tempo

non potrebbe nessuno amar due donne.

Io per te m irretii, per te sorpreso

senza difesa io fui: nel tempo stesso,

ecco, oh vergogna!, due fanciulle io amo.

Entrambe sono belle, entrambe al culto

della bellezza dedite: in quest’arte

dir non si può qual delle due primeggi.

Più bella è questa di quell’altra; quella

è più bella di questa; e, fra le due,

a me più questa, a me più quella piace.

Ed entrambi gli amori errano incerti

come battello da contrarii vènti

mosso; e fra due mi tengono diviso.

Perché, Ericina Dea, così tu addoppii

senza fine i miei crucci? A travagliarmi

non basterebbe una fanciulla sola?

Perché foglie alle piante e nuove stelle

aggiungi a un cielo che ne è pieno, e aduni

per il profondo mare acque novelle?

Ma pur meglio così, che se languissi

privo sempre d’amore! Ai miei nemici

una vita severa offra la sorte,

ai miei, nemici avvenga di dormire

in un vedovo letto e in lungo e in largo

per tutto il letto stendere le membra.

Ed a me i sonni torpidi interrompa

un amore inquieto, e non il solo

peso del corpo mio senta il mio letto.

Me la diletta mia, senza che alcuno

si frapponga fra noi faccia sfinire,

se a ciò una basti; se non una, due.

Ed io resisterò: non senza forze

son le mie membra gracili; il mio corpo

di peso, sì, ma non di nervi è privo.

Darà forza e alimento alle mie reni

la voluttà; nessuna donna mai

fu, nell’opra d’amor, da me delusa.

Spesso lascivamente io consumai

tutta una notte; e sul mattino io fui

pieno ancor di valore, utile ancora.

Felice quegli che la mutua guerra

della venere prostra! E voglia il Cielo

che questa sia cagion della mia morte!

Opponga contro i colpi del nemico

valido petto il milite, e col sangue

una gloria immortale egli si acquisti;

cerchi l’avaro altre ricchezze, e beva,

naufrago, con la sua bocca spergiura

l’acque del mare ch’egli andò solcando;

e a me continga di cader fiaccato

nell’esercizio dell’amore, e, quando

morrò, di venir meno a mezza l’opra,

sì che al mio rito funebre taluno

tra le lacrime dica: «Alla sua vita

ben si convenne una siffatta morte».

 

II,19: il timore e la speranza sono gli alimenti dell’amore; da qui derivano gli altri nutrimenti, come il sospetto, la gelosia, la difficoltà nelle imprese amorose. Soprattutto, alimenta l’amore la sorveglianza che i mariti fanno sulle mogli: se non vi fosse, l’amore spesso morirebbe;

III,2: Come ci si comporta al circo? facendo stare comoda l’amata e intanto ingegnandosi di indurla a comportamenti un po’ lascivi! Sono temi che poi saranno trattati in modo pressoché uguale nell’Ars amandi.

III,7: il contenuto vero dell’amore è quello sessuale: per questo Ovidio si sente in grande disagio quando, una volta, si trova in difficoltà con l’amata.

 

7.4.3 Heroides

Apparentemente, le Heroides sembrano una novità, una stranezza: pongono in scena l’amore delle donne. Si tratta, come è noto, di «lettere» in versi, che l’autore finge essere inviate da donne illustri della storia e della mitologia ai loro amanti.

Si ponga mente però che la condizione generale è quella dell’abbandono, e dunque che il clima di questi amori è quello della nostalgia, esattamente come avveniva per Saffo e, da un punto di vista maschile e dunque “attivo”, per Catullo.

Se ne può facilmente trovare traccia nella lettera che si finge inviata dalla stessa Saffo a Faone e, soprattutto, nella lunga epistola, o meglio auto-orazione funebre, di Didone ad Enea. A Saffo sono attribuite delle altre osservazioni, il­luminanti: essa è stata «preda» dì Faone (v. 51); anzi, si può riassumere il senso di questo testo dicendo che Saffo è ormai asservita a Fanne. Dunque ella non era amante, ma amata, e il meccanismo è sempre quello mostrato da Ovidio nell’Ars amandi. Saffo soffre perché non si è resa conto delle regole del gioco: l’ha preso sul serio e si è dimenticata che a far così c’è il rischio di soffrire.

La posizione di Ovidio risente dunque di un’impostazione piuttosto ruvida, quale è quella di chi vorrebbe far schiavo l’oggetto amato (i Romani menavano vanto del ratto delle Sabine!) però nel gioco elegante dei triclini e dei giardini colonnati tutto si è trasformato in levità; chi conosce queste regole e le applica, chi, gioca con suprema partecipazione e insieme distanza, gode, un piacere più intellettuale che fisico. E la ricerca del piacere pare proprio essere il senso della dottrina d’amore nei mondo classico, quando con questa parola si intenda qualcosa di legato a un rapporto fra esseri umani e non una fuga in mondi rarefatti e del tutto ideali, come capita in Platone.

 

7.5 Plutarco

Lo scrittore di Cheronea, che scrive circa un secolo dopo Ovidio, in un suo dialoghetto Sull’amore, (Erotikos) che riprende la forma, il tema e anche certe movenze di Platone, la questione viene posta in termini che possono sembrare «moderni»:

- non c’è amore senza bellezza (si intenda: la bellezza femminile per un maschio e viceversa), sarebbe come «un’ubriacatura senza vino, procurata da bevanda fatta con fico o orzo, è uno sconvolgimento senza frutto e incompleto, che presto nausea e disgusta» (5, ripreso in 23).

- per dar corso all’amore, è meglio sposarsi piuttosto che prendersi una schiava, per un motivo banale: spesso capita che le schiave abbiano la capacità di rendere schiavo a sua volta colui che era il loro padrone (è il contenuto della “malattia d’amore”); meglio se la moglie è di nascita elevata, meglio se è giovane e bella, meglio se è innamorata, se l’amante è lei (9); nello stesso luogo peraltro torna il tema dell’amore come dominio:

La nutrice ha potere sul neonato e il maestro sul bambino, il ginnasiarca sull’efebo, l’innamorato sull’adolescente, la legge e lo stratego sull’adulto; nessuno è del tutto padrone di se stesso e indipendente. Che cosa c’è di terribile quindi, se una donna che ha senno ed è più grande governerà la vita di un giovane uomo, essendo così utile perché più esperta, dolce e gradevole perché innamorata?

- la bellezza non è in grado di suscitare l’amore per se, amore è qualcosa di più; in sua assenza Afrodite «non vale una dracma»; amore è perciò una pulsione che proviene dall’amante, non un prodotto della presenza dell’amato (16);

- Amore è una delle grandi motivazioni che fanno agire gli uomini e le donne (dunque anche quello delle donne merita di essere chiamato amore), che li spingono a compiere atti eroici (17);

— Amore ha natura essenzialmente spirituale, è come un’immagine mentale del sole che illumina le cose belle del mondo, esso è sensibile alla bellezza intesa in senso ideale, proprio come in Platone: il problema è però che, mentre la nostra anima è ospitata in un corpo sulla terra,

«l’Amore non si avvicina direttamente all’anima, ma lo fa attraverso il corpo. I professori di geometria, quando i fanciulli ancora non possono comprendere da soli, le cose percepibili della sostanza incorporea e impassibile, plasmando oggetti palpabili e immagini visibili di sfere, cubi e dodecaedri, glieli mettono davanti; nello stesso modo, l’Amore celeste ci mostra, come in uno specchio, le belle immagini delle belle realtà, immagini certamente mortali atte a soffrire e sensibili di realtà divine impassibili e percepibili solo alla mente, che, grazie all’ingegno dell’Amore, brillano della bellezza della gioventù nelle loro forme, nei colori e nell’aspetto. Attraverso queste immagini l’Amore scuote dolcemente la nostra memoria che, fin dal primo momento, si riaccende.

E allora alcuni, a causa degli sciocchi consigli di amici e parenti, cercano di soffocare, in modo violento e irragionevole, questa passione, senza trarre da ciò nessun vantaggio, anzi, o si riempiono di un turbamento fu­moso o, precipitando verso piaceri tenebrosi e proibiti, si consumano ignobilmente. Altri, invece, ispirati dalla saggezza e dalla ragione insieme al pudore, eliminano da questa passione ciò che vi è di folle, come si fa con il fuoco, lasciano nell’anima uno splendore e una luce accompagnata da un calore, che non provoca, come qualcuno ha detto, uno sconvolgimento e uno scivolamento degli atomi che, pressati con leggerezza ed eccitazione, produrrebbero lo sperma, ma produce una effusione meravigliosa e feconda come in una pianta che fiorisce e fruttifica. Questa effusione fa aprire come dei pori, per cui passano la compiacenza e l’amabilità; e non c’è bisogno di molto tempo perché oltrepassino il corpo di chi amiamo, per attaccarsi, alla sua più intima natura, che gli occhi, aperti, scorgono. Gli esseri allora si uniscono strettamente per mezzo di parole e azioni gli uni con gli altri, sempre che abbiano ancora nelle loro menti un profilo e un’immagine della bellezza assoluta; se no, lasciano stare e si rivolgono verso altri, come le api che spesso abbandonano fiori freschi e splendenti, perché non hanno miele. Ma quando conservano una traccia del dio, un’emanazione e una somiglianza inquietante con lui, presi dall’entusiasmo, dal piacere e dall’ammirazione e trattandosi con ogni cura, sono felici per il ricordo e si infiammano per quell’oggetto veramente amato e beato, che è caro e desiderato da tutti. (19)

Il discorso richiama quello ascetico di Platone, con una differenza sostanziale: l’amore non produce la contemplazione della vera bellezza, è lo strumento con cui l’uomo si rende dio; nessuno si può render tale da solo, ha sempre bisogno dell’apporto di un altro; questo mutuo apporto è ciò che chiamiamo “amore”;

- che amore sia un itinerario ascetico di trasformazione appare chiaro in 20: «Il vero amante, quando è stato nell’aldilà e ha frequentato la bellezza, come e giusto, possiede le ali e celebra i misteri, danzando sempre dietro al suo dio e accompagnandolo, finché, giunto di nuovo ai campi di Selene e di Afrodite, si addormenta e inizia un’altra vita»; tuttavia lo stesso autore nota che questi discorsi, vanno oltre il tema dell’amore;

- amore è saggezza e ponderazione: «la differenza fra amare, essere amati e chiudersi in sé mostra subito che, con il tempo, al vincolo della convivenza si aggiunge l’affetto..., quelli che, pur separati nei corpi riescono ad unire e a fondere le anime, con la forza dell’Amore non vogliono e non credono più di essere due», dal che si evince che amore è riunificazione, sparizione delle differenze, e per questo annullamento del desiderio (21);

- sempre in 21, si sostiene una tesi che avrà fortuna: Amore ispira onestà, pudicizia e lealtà anche in anime che per natura sarebbero dissolute: ciò passa attraverso un mutamento della sensibilità che passa dall’interesse per tutti gli esseri di una classe per uno solo;

- bisogna fare attenzione al fatto che l’amore è un processo evolutivo e non uno stato:

All’inizio, lo studio della matematica mette in agitazione i bambini e quello della filosofia i giovani, ma questo studio non resta sempre arido per loro. Così per gli amanti succede come quando due liquidi si mischiano fra loro; l’amore all’inizio sembra produrre un fervore e un turbamento, ma poi, col tempo, si calma, si purifica e mostra una più grande stabilità. Questa unione che è detta “assoluta” è veramente quella di due sposi che si amano; mentre l’unione dì quelli che vivono insieme senza questo profondo legame, assomiglia a quei contatti e intrecci di cui parla Epicuro, e porta con sé urti e repulsioni, non arrivando mai a quella unione che solo l’Amore produce, quando presiede la convivenza di due sposi. (24).

Con Plutarco siamo alla fine del pensiero antico sull’amore. Vedremo che molti dei temi nuovi che propone saranno ripresi, in epoca medievale, che altri dovranno aspettare l’età moderna; nemmeno lui sembra tuttavia riuscire a proporre soluzioni davvero nuove, districandosi dal dilemma che sembra percorrere Greci e Romani: amore è una delle tante espressioni della dialettica servo/padrone oppure il tratto iniziale di un itinerario ascetico che porta fuori dal mondo, a superare, inevitabilmente, lo stesso oggetto d’amore?